sabato 19 novembre 2011

Nome in codice: "A Tenaggia"

Sarà che il ruolo presenta caratteri fortemente atipici rispetto agli altri dieci, sarà forse la sua posizione di ultimo baluardo contro gli assalti avversari, fatto sta che quello del portiere è da sempre, insieme a quello del centravanti, il ruolo più ricco di soprannomi. Davvero curioso è quello affibbiato dai tifosi del Genoa a Orlando Sain (Pola, 3 febbraio 1912), portiere per vocazione durante una carriera avventurosa spalmata su un arco di quindici anni, dal 1930 al 1946.
Nato quando la sua città è ancora sotto l'Impero Austro-Ungarico (diventeranno italiani entrambi dopo la Prima Guerra Mondiale) Sain si forma nella locale squadra del Grion, dove però non giocherà mai, chiuso da tali Dinelli e Crismani. Le sue buone prestazioni nella squadra riserve attirano l'attenzione del Taranto, che offre 10.000 lire alla società e 600 lire di stipendio a lui, ma gli sloveni non vogliono saperne. Sain allora aspetta una stagione e poi nel 1930-31 se ne va a cercar fortuna al Campobasso (serie C), dove, riportano le cronache, gioca una piccola colonia di istriani. Dopo un anno passa a L'Aquila, dove resta sette stagioni conquistando anche la B. Longilineo, molto alto per l'epoca (181 centimetri, quando l'altezza media del ceppo italico tanto caro al nostro Duce è di circa 171), diventa famoso per la sua temerarietà nelle uscite e per la grande forza con cui abbranca il pallone, con un gesto caratteristico (e poco scolastico) ovvero serrando i palmi delle mani parallelamente: quando il pallone è stretto in maniera baricentrica, è impossibile toglierlo dalle sue mani, forti come una pressa; ma se la presa è scarsa o abbondante, la palla talvolta schizza via, generando furibonde mischie sotto porta, e talvolta qualche gollonzo. Cose che capitano, e che non impediscono il suo approdo in A, nell'Ambrosiana Inter, stagione 1938-39. Comincia lì la sua carriera d'alto livello, purtroppo rovinata dalla guerra: dopo due anni a Milano inframmezzati da una stagione al Novara, nel 1941-42 passa al Genoa, dove diventa un beniamino della tifoseria e per il suo modo di stringere il pallone riceve il soprannome che lo accompagnerà imperituro: "A tenaggia", la tenaglia. Fermo per eventi bellici nel 1942-43 e nel 1943-44, torna a giocare, fra un raid partigiano e un rastrellamento, nell'Asti, nel torneo di guerra 1944. Finito il conflitto, un ritorno dettato dalla nostalgia, con la maglia del Grifone. Smette nel giugno 1946 a 34 anni, prima che "a tenaggia" perda la sua forza.

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